Transizione, [21/6/09] Solstizio d'Estate

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Drath
view post Posted on 21/6/2009, 21:34




Rating: 16 anni
Tipologia: One-shot
Avvertimenti: Character Death
Genere:Introspettivo, Azione, Fantasy, Sovrannaturale
Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene, sono una mia creazione e appartengono solo a me.
Numero parole: 5186, titolo escluso.
Note dell'autore:
L'ambientazione non è medievale come il consueto fantasy ma ottocentesca, in particolare riferimento alla Londra vittoriana, pur trattandosi comunque di un mondo di mia invenzione.
Introduzione alla storia:
I laer sono esseri umani che ospitano l'anima e i ricordi di persone vissute millenni fa, appartenenti a una razza di conquistatori e dominatori dal potere magico incalcolabile.
La razza dei centauri si è istupidita e ora presenta un'intelligenza bassissima a causa dell'inquinamento creato dalle industrie, pertanto vengono utilizzati dai ricchi solitamente per trainare le carrozze o come oggetto di svago.


Transizione


Se mi trovo a scrivere queste righe è perché sono stato testimone di certi eventi che non possono essere descritti in altra sede, così come le conseguenze che hanno portato, che sono state finora da me celate con la massima cura.
Il mio nome è Kelphias Marson, e sebbene i fatti che sto per raccontare siano avvenuti più di trenta anni fa, ricordo ogni particolare alla perfezione.
Era il 2439 ed ero al servizio del Ministro agli Armamenti di sua Maestà il Re Galos II. Fui inviato a controllare gli approvvigionamenti di armi e il procedere delle fabbriche quando ormai la guerra era prossima al suo inizio.
L’estate non era nemmeno iniziata, ma la temperatura era resa più calda dal clima politico e sociale di quei giorni. E io mi dirigevo presso la Prestigiosa Fabbrica Di Golem A Vapore Lorssan & Merkhat, da sempre fornitrice dell’esercito reale.
La fabbrica si trovava nel quartiere di Lor-Ethyn, e io arrivai fin lì in una carrozza mandata dai proprietari stessi. Era una vettura di lusso, trainata da due centauri dal manto lucido e le livree nuove. Durante tutto il viaggio tenni la testa tra le numerose carte che mi portavo appresso, cercando di concentrarmi nonostante gli scossoni.
Era il mio primo incarico ufficiale di quel tipo, mi trovavo in carica da pochi mesi e non facevo altro che stendere sul sedile vuoto davanti al mio una serie di fogli estraendoli da una cartellina in pelle. Mi decisi a riordinarli, prendendone pochi alla volta e assicurandomi che fossero dritti solo quando mi annunciarono che ero in vista della fabbrica. Chiusi la cartellina con dei legacci, la riposi nella borsa e feci per uscire, quando mi venne aperto, e per poco non caddi. L’uomo aveva all’incirca la mia età, e un’aria seria e professionale. Mi fece cenno di seguirlo senza dire una parola, ma ebbe la pazienza di attendere quando mi fermai a contemplare l’imponente e grigia facciata. Uno spettacolo che non aveva in realtà nulla di affascinante eccetto la sua sconsiderata altezza, che superava di gran lunga quella degli edifici confinanti. Per qualche istante mi feci venire il torcicollo cercando invano di cogliere la sua grandezza con uno sguardo solo. Riuscii a distinguere il profilo di quelle che a me parvero torri, dalle quali usciva un denso fumo.
Mi decisi infine a seguire l’uomo, che, con mia sorpresa, non mi fece entrare per la porta principale ma mi condusse lungo il fianco dell’edificio per pochi passi, abbastanza da farmi temere che in realtà avesse brutte intenzioni, infine mi fece cenno di salire una scala esterna che prima non avevo notato. Lui si fermò ai piedi del primo scalino. Raggiunsi in fretta la porta alla fine della scala. Una scritta, in caratteri eleganti, diceva “Lorssan & Merkhat”. Restai per un po’ indeciso sul da farsi, gettando ogni tanto sguardi nervosi all’uomo in fondo alle scale, e bussai.
Non nascondo che provai un certo nervosismo, almeno finché non mi venne aperta la porta e un uomo sui cinquanta anni, decisamente bene in carne, ben vestito e con dei vistosi baffi rossi tese la mano e disse: <coral Lorssan, ho il piacere di parlare con il signor Marson, immagino.>
<sì, signore. È un piacere conoscerla.>
Mi fece entrare nel suo ufficio: piuttosto grande, con due scrivanie a dominare la stanza, una stufa in un angolo, e svariate librerie colme al punto che sembravano prossime ad esplodere e a sommergere i presenti di carta fino a farli affogare. L’unica parete libera era quella dietro a una delle scrivanie, alla quale era appesa una stampa del re.
Lorssan mi fece accomodare su una delle poltroncine rivestite e anche lui si sedette.
<ah, gradite qualcosa da bere? >
<no, grazie.>
<il mio socio si scusa, ma una grave malattia lo trattiene a casa, purtroppo. Eh, questo è il primo anno che non gestiamo questi affari insieme, è un vero peccato.>
In seguito ci dilungammo in dettagli tecnici e commerciali, leggibili nel mio rapporto ufficiale qualora il lettore ne fosse interessato. Parlammo per quasi due ore, e infine si decise a farmi visitare la fabbrica per la quale, ammetto, ero decisamente curioso. Non avevo fatto altro che riflettere sulla sua altezza, che mi dava un brivido lungo la schiena come quando si ammirano alberi altissimi e antichissimi. Aveva davvero qualcosa di blasfemo e sbagliato. Di conseguenza anche ciò che vi veniva costruito doveva esserlo. Cercai di sopprimere quelle che credevo fossero solo istinti giovanili e mi concentrai sul mio compito: non capitava tutti i giorni di visitare una fabbrica di golem a vapore.
In quel momento entrò uno dei suoi dipendenti con un foglietto in mano e l’aria preoccupata. <chiedo perdono. Hanno telegrafato dalla casa del signor Merkhat. Richiede la vostra presenza.>
<ah.> Si deterse il sudore dal viso con un fazzoletto e estrasse l’orologio da taschino.
<ah.> Ripeté. <mi dispiace infinitamente per questo contrattempo, signor Marson.>
<non preoccupatevi, non influirà sui miei giudizi sulla vostra fabbrica.>
<vi ringrazio. Vi affido al signor Kerralsky, uno dei miei uomini di maggior fiducia.. se mi passate l’espressione.> Ridacchiò, e io non capii la sua allusione. Uscimmo dal suo ufficio e superammo altri uffici il cui unico suono era il ticchettare costante delle macchine da scrivere. Bussò a una porta alla quale si affacciò un capricorno piuttosto contrariato, che alla vista del mio ospite mostrò invece un sorriso sul muso caprino.
<signor Lorssan! Un attimo, uno dei miei esperimenti sta per scappare. Sarò subito da voi.> Da dietro di lui si udì un rumore di vetri infranti. Richiuse la porta velocemente, ma noi potevamo continuare a sentire le sue esclamazioni e il rumore di oggetti che cadevano. Lorssan ridacchiava, io non sapevo che pensare.
Poco dopo ci riaprì, ansante. <scusate l’imprevisto, è una bestiola irrequieta…> Finalmente si accorse della mia presenza, e mi feci avanti per stringergli la mano, cercando di apparire cordiale. <kelphias Marson, piacere di conoscerla.. ehm..> Esitai imbarazzato, due delle mani del capricorno reggevano degli alambicchi che doveva appena aver salvato dalla furia di quella creatura, e io mi trovavo a non sapere quale delle quattro mani rimaste libere stringere. Fu abbastanza cortese da togliersi uno dei guanti neri protettivi da una delle mani e da farsi avanti, e potei stringere una delle sue mani grigie e ossute.
<yovet Kerralsky. Chiedo perdono per il contrattempo, ma con l’avvicinarsi del solstizio diventano sempre più nervosi. E non sono ancora riuscito a capire perché!>
Sbottò frustrato e indicò la parete della stanza alla sua destra, tappezzata di gabbie di varie misure incastrate per miracolo. Alcune erano vuote, ma quasi in tutte si agitavano e gridavano delle bestiole scure, dagli occhi bianchi. Non distinguevo la loro fisionomia da quella distanza, e feci per avvicinarmi, ma il capricorno mi bloccò con tre delle sue braccia. <non toccatele, diventano nervose.>
<cosa.. cosa sono esattamente?>
<non ne ho idea.>Alzò le spalle. <si trovano nei buchi, negli angoli bui e umidi, sembrano quasi delle muffe. Ma non ho dubbi sulla loro appartenenza al regno animale. Ciò che invece la comunità scientifica non ha ancora deciso è come chiamarle. E pensare che sono molto diffuse.>
Continuò a parlare, ma io mi soffermai su quegli strani animali, simili a grossi gatti senza coda, obesi, e ricoperti di muschio.
<professore, non vorrei interromperla, ma io devo andare. Le affido il signor Marson.> Dopo aver detto questo, Lorssan uscì dal laboratorio.
<sarà un piacere per me mostrarle la fabbrica.> Disse il capricorno, togliendosi tutti i guanti da lavoro.

Percorremmo alcuni stretti corridoi senza mai incontrare nessuno, per poi salire delle scale, fino a trovarci di fronte a una porta. Fino ad allora avevo sempre seguito lo strisciare da lumaca di Kerralsky, ma in quel punto si spostò accennando un inchino. Grato che non si fosse inchinato del tutto, o avrebbe potuto colpirmi con le corna in quella strettoia, aprii la porta.
La sala era incredibilmente vasta, sicuramente più del salone della Regina. Da dov’ero nemmeno ne vedevo la fine, e io ero su un camminamento protetto da una ringhiera che mi permetteva di spaziare su quell’immensità. L’intero luogo era avvolto nella semioscurità, e la luce che più risaltava era quella del metallo fuso che colava da crogioli semplicemente enormi, che quasi in sincronia lo versavano negli stampi. Era uno spettacolo altamente ipnotico, mi appoggiai alla ringhiera e mi sporsi. Le file di crogioli sembravano infinite. Il metallo fuso era bianco, dai bordi rossastri, e mi parve la materializzazione della luce, e la luce colava nelle sue forme come la creazione di un mondo nuovo, regolato dalla precisa meccanizzazione.
<alzate la testa.> Mi disse, e lo feci.
E ora mi si spiegava l’immensa altezza dell’edificio: se i crogioli in cui veniva colato il metallo erano tanto grandi, a dir poco titanici erano i forni.
Mi parvero immense colonne a sorreggere un tempio del progresso. Erano quattro, ognuno a un lato della stanza, e da quello che potevo vedere da ognuno di essi uscivano due condotti, uno dei quali passava proprio sopra alla mia testa.
<uno di essi porta il metallo ai crogioli che vedete. L‘altro porta via le scorie. Quelle che intravedete lungo la loro struttura sono rune che lo rendono più resistente al calore. Ci sono più rune di quanto non vediate. L’interno stesso dei forni ne è tappezzato.>
<la temperatura altissima del metallo non le fonde?>
<oh no, sono scritte apposta per resistere. Ogni sette anni, con il rinnovamento degli interni, vengono riscritte per assicurarne l’efficacia.>
<chi manovra tutto questo?>Chiesi estasiato, volgendo di nuovo lo sguardo davanti a me. Kerralsky mi fece segno di guardare a destra. Mi sporsi e, tra l’abbassarsi di un crogiolo e l’altro, intravidi che la parete era occupata da una selva di ciò che intuii essere leve. Vidi persino alcuni uomini abbassarle e calarle con precisione.
<non sarebbe più comodo impiegare dei capricorni per questo lavoro? Per il numero di braccia, intendo..>
<in teoria sì, qualcuno lo fece nel passato, ma tutto questo calore secco ha un effetto estremamente negativo sul nostro corpo, provoca una disidratazione tale da renderci immobili dopo un certo periodo di tempo.>
Come per prevenire la mia domanda, proseguì: <naturalmente pochi minuti qui non sono eccessivamente nocivi per me, non temete.>
<beh, comunque direi che possiamo proseguire, sì..> Mormorai come stordito.
Proseguimmo lungo il camminamento per un po’, per poi rientrare tramite una porta secondaria.
<come avrete facilmente intuito, questa era la prima sala. Il metallo che ricaviamo è una lega di calvario, un tipo di metallo che conferisce estrema durezza e resistenza. Questa viene usata per le macchine militari, per golem progettati per l’uso comune o per le miniere invece viene usata una lega in ghisa con una percentuale minore di calvario, in quanto gli sforzi a cui il metallo viene sottoposti sono decisamente differenti. La struttura interna ed esterna dei golem del resto varia a seconda dello scopo per cui sono assemblati.>
<siete davvero un esperto. E io che pensavo vi occupaste solo di.. di quelle bestiole.>
<oh, sapete, abbiamo fondato io e Lorssan, almeno idealmente, questa fabbrica. Ma dato che lui e il suo legale Merkhat ritenevano che il cognome di un capricorno sul logo ci avrebbe fatto perdere i clienti più conservatori, il mio nome sparì pochi anni dopo. E anche parte della mia quota aziendale.> Respirò a fondo.
<perché mi dite queste cose? Non temete di fare pubblicità negativa?>
<no, mi sto solo comportando in modo onesto.> Replicò.
<capisco. Ah, non mi avete detto per quale ragione conducete quegli esperimenti.> Tentai, mentre cominciavo a provare più simpatia per lo scienziato.
<lo saprete a tempo debito, non temete.> Rispose con un sorriso cospiratore e si accarezzò il pizzetto nero.

In seguito mi mostrò una stanza meno spettacolare della precedente: qui le lastre di metallo di varia forma e dimensioni venivano disposte in preciso ordine formando delle colonne di materiale che ricordavano una città senza luci.
La stanza presentava due immense porte ad entrambe le estremità da cui entravano e uscivano continuamente trasporti grandi quanto la carrozza che avevo usato il giorno stesso carichi e altri che portavano delle lastre ben precise attraverso l’altra porta, e da dove ero potevo vedere poco di cosa vi fosse nella stanza successiva.
<qui smistiamo le lastre dalle diverse forme.. come vedete si iniziano a riconoscere delle forme, molte sono tonde o leggermente piegate. Questa organizzazione ci permette di variare il lavoro a seconda di ciò che ci serve produrre, variando giorno per giorno. La produzione di golem da miniera non è stata trascurata, ma nettamente diminuita.> Mi indicò un angolo in cui erano poste delle parti metalliche decisamente più piccole.
<la parte più interessante arriva ora.> Annunciò Kerralsky e mi condusse presso un’altra sala.
Questa si estendeva in lunghezza molto più delle altre, al punto che non ne vedevo la fine. Qui potevo finalmente osservare in tutto il suo splendore la produzione Lorssan & Merkhat prendere forma. Un vero esercito stava nascendo.
File e file di scheletri di metallo erano ordinatamente disposti. Sarebbero potuti parere semplici formiche, ma le vere formiche erano le figure degli uomini che lavoravano per assemblarli, alcuni mediante scale e tenuti su da un complesso sistema di cavi.
<notevole, non c’è dubbio...>Mormorai.
<e vi sto mostrando solo le parti più degne di nota. Se siete d’accordo passerei all’ultimo stadio, l’attivazione. In questa sala viene completato il montaggio e viene inserito il motore a vapore.>
Camminammo a lungo per dei corridoio che sembravano non finire mai, in perfetto silenzio, finché non chiesi: <i golem sono attivati magicamente, avete degli Associati che lavorano per voi, non è così?>
<anche, sì. Ma non sono la nostra manodopera di base. In effetti, potremmo tranquillamente fare a meno di loro.>
<credo di aver capito.>
<e comunque non c’è nulla di interessante nei loro studi, i loro esperimenti non si differenziano molto dai miei, anche se io preferisco un approccio più scientifico. Lo scopo rimane lo stesso, comunque. E a tal proposito, tra poco saremo in argomento e vi spiegherò di cosa si tratta.>
Non aveva davvero mentito, quello era davvero il luogo cruciale. Ora, nella consueta semioscurità, alcune file di golem, neri e immensi ammassi di metallo e ingranaggi, stazionavano proprio come persone, retti per sicurezza da alcuni ganci che pendevano dall’alto. La maggior parte di loro era alta tre volte quanto me, con due robuste gambe, un ampio torace e le braccia che terminavano con dita artigliate. Alcune ruote degli ingranaggi erano visibili alle giunture di gambe e braccia, e da dietro la schiena spuntavano due aperture da cui sarebbe uscito il fumo. Il volto era rozzo, con i tratti appena accennati.
<le mani possono essere sostituite. Stiamo mettendo a punto un tipo di mitragliatrice a vapore molto interessante. Siamo ancora in alto mare, ma sembra stia dando buoni frutti.>
<e.. come fate ad animarli?>
<lassù.> Mi indicò l’alto. Da dove pendevano i cavi per i golem scesero, come ragni, alcune figure umane. Imbracate e legate a delle corde, queste persone venivano calate sui golem - una per ogni costrutto- lentamente, con dei gesti codificati che permetteva a chi li teneva di regolare la velocità e la direzione, come intuii e mi fu confermato.
Alcuni di essi avevano in mano un bastone sottile. Gli Associati, compresi.
<associati.>
<loro sì. Ma presto la magia delle loro aste si consumerà, e sono incredibilmente costose. Non avrei mai immaginato di doverlo dire, ma i laer servono a qualcosa.>
Compresi. Quei tre uomini che erano calati simultaneamente davanti a me erano laer. Mi ritrassi d’istinto. Ne osservai uno. Dove gli Associati passavano la loro asta per tracciare dei simboli magici ben precisi sulla superficie metallica si creava una piccola luce simile a una fiammella, e intravedevo il sudore scendere dalle guance. Gli occhi erano coperti da occhialini, così non vedevo altro. Ma il laer.. passava solo le sue dita, e otteneva lo stesso effetto.
<i laer sono gli esseri maggiormente portatori di magia in questo mondo, dobbiamo ringraziare che sono pochi, mal organizzati e completamente fuori di testa.>
Commentò semplicemente Kerralsky, ma io ero estasiato.
<immagino siate autorizzati dal governo a utilizzarli.>Riuscii solo a dire.
<ah, certamente. Li alloggiamo anche. Manicomi e prigioni ne sono pieni, signor Marson. E chissà quanti sono stati abbastanza furbi da nascondersi. Sono come erbacce, non importa quanto si provi a sterminarli, rinascono sempre. Ho sentito di studi su di loro che hanno sconvolto persino me. Sarebbero gli operai ideali, se non fosse che con l‘uso della magia a cui sono sottoposti muoiono dopo pochi anni di lavoro qui. Uno sforzo fisico estremo uccide. E così un sforzo magico.> Disse quelle parole poggiato alla ringhiera con un paio di braccia, tenendone un altro paio sui fianchi e scostandosi i pochi ciuffi di capelli dietro le corna.
<a proposito, volete dirmi ora..> Cercai di sviare, non volendo pensare cosa potesse aver sentito, e fatto, sperimentando sui laer. Erano fuori di testa, come aveva detto lui, erano pericolosi, vero... ma erano così simili a noi... un laer qualsiasi vestito come me sarebbe sembrato un uomo comune. I capricorni invece erano così evidentemente diversi, che sentirlo parlare in tal modo mi parve un controsenso.
<i miei esperimenti? Ebbene, anche quelle creaturine portano una magia. Durante il solstizio d’inverno cresce particolarmente, e quello è anche il periodo dell’accoppiamento. Ma temono più di ogni altra cosa il solstizio d’estate, credo per fattori astronomici ... la vicinanza del sole, e la durata del giorno. Il perché in realtà, come vi ho già accennato, è sconosciuto. Ma se si riuscisse a estrarre la magia da loro e metterla nelle aste degli Associati, sarebbe perfetto. Si tratta di creature che prosperano nel buio e nell’umido, sarebbe normale se non fosse per alcune somiglianze riscontrabili nei laer. Purtroppo teorie come quelle che sto per enunciarvi hanno avuto poco credito nella comunità scientifica per il fatto che sono verificabili solo su alcuni laer, non su tutti.>
Fece una pausa per aumentare la teatralità del momento, mentre io osservavo sempre più interessato i laer davanti a me. Posando le dita sul metallo lo incideva, come se fosse burro, seguendo schemi ben noti nella sua mente. Aveva finito con uno degli arti superiori, così indicò a colui che lo reggeva di spostarlo, facendo un unico movimento col braccio destro, Si sentì una carrucola, degli ingranaggi che cigolavano, ed ecco che il cavo che tratteneva il laer si mosse. Alzò il braccio per farsi fermare quando fu pronto, e iniziò a lavorare sull’arto sinistro. Anche Kerralsky pareva essersi ipnotizzato di fronte a quello spettacolo, perchè riprese solo in quel momento.
<io stesso ho monitorato i laer che lavorano qui, in parte per assicurarmi che il loro potere non crescesse eccessivamente fino a raggiungere livelli di pericolosità, in parte per puro interesse scientifico.>
<siete in grado di monitorare la loro magia?>
<non da solo, purtroppo. Ma ho amici tra gli Associati che mi hanno fatto pervenire alcuni strumenti utilizzabili anche da un profano per questo tipo di indagine. E per alcuni laer, ma solo per alcuni, il solstizio coincide con un periodo di grande intensità magica. Il loro potere aumenta. I giorni successivi si stabilizza, come se niente fosse. Vedete quel laer?> Me lo indicò con una delle braccia destre, era quello che fissavo da prima.
<È uno di quelli di cui parlate.>Compresi, e lui annuì.
<non c’è modo di capire perché avvenga solo in quei laer?> Domandai, provando una strana sensazione. Dentro di me sapevo che non esisteva quel modo, e desideravo solo fargli ammettere una mancanza, con una crudeltà per me tutta nuova.
<no, non c’è.>
<avete provato a chiederglielo?>
<ai laer?> Rise. <sarebbe ridicolo. Finirebbero per dire qualcosa di sconnesso su mondi antichissimi. Otterrei risposte più coerenti domandando a un centauro.>
Guardai di nuovo il laer. Ed egli si voltò verso di me. Strinsi la ringhiera e mi augurai davvero che il suo potere sarebbe cresciuto.
E lo vidi. Un chiarore sembrava avvolgerlo. Sbattei le palpebre incredulo, poi compresi che doveva essere solo la luce che entrava dalle grandi finestre che ridisegnava la sua sagoma.
<hanno mai provato a fuggire?>
<qualcuno. Fallendo sempre, sono troppo ben sorvegliati. Gli Associati hanno praticato su di loro una magia molto utile a tal proposito, se provassero a scappare il numero tatuato sui loro polsi si attiverebbe e brucerebbero. Come una immensa fiammata umana. I più sono qui per loro volontà, comunque.> Asserì con noncuranza.
<si, capisco.> Fu tutto quello che riuscii a dire.
Una volta coperto di scritte magiche il golem si attivò. Il motore a vapore si attivò e diede energia al suo movimento. Seguendo le indicazioni di un caporeparto si allontanò a passi pesanti.

Il mio viaggio di ritorno fu decisamente diverso da quello di andata. Non mi misi a compilare il mio rapporto subito in carrozza, perché volevo riflettere, e non rischiavo certo di dimenticare qualcosa. Da sempre avevo provato un certo disgusto per i capricorni, il loro modo di muoversi simile a lumache con quel loro corpo viscido un tempo coda che li permetteva di nuotare alla perfezione, il loro viso caprino e inquietante, i cappelli esageratamente grandi sulle corna, me li faceva apparire simili ai grotteschi cattivi di quei romanzi a puntate che stampavano periodicamente sui quotidiani.
Poi nel sapere la loro condizione di inferiorità sociale rispetto agli umani avevo provato un po’ di compassione per Kerralsky, lo scienziato sfortunato. Poi avevo odiato Kerralsky, la bestia che sperimentava su altre bestie. E poi c’erano i laer. Non ne avevo mai osservato uno da vicino. E il solstizio.Il solstizio d’estate che incombeva su questa strana situazione, che prometteva loro una forza magica immensa per la vicinanza del sole e che sarebbe stata usata per consumarli.
Una volta a casa stesi diligentemente il rapporto, confermando l’efficienza produttiva della Prestigiosa Fabbrica Di Golem A Vapore Lorssan e Merkhat. Cercai di essere più neutro possibile, sedetti a riflettere. Venne la mia domestica con il tè, e le chiesi, di getto: <darlhy, che cosa pensi dei laer?>
<oh! Se posso parlare liberamente, signore, mi spaventano. Sono dei peccatori e sono contenti di esserlo, e ciò non è bene.>
<capisco.> Le feci cenno di ritirarsi.
Stetti in poltrona a pensare. Kerralsky mi aveva invitato a tornare alla fabbrica il 15, il giorno del solstizio, per ammirare quella che lui definiva una tecnica per impedire ai laer di fuggire con la magia guadagnata da quei poteri astrali e nel contempo “produrre il nostro modesto dono per Sua Maestà”, secondo le sue parole. Sarei andato, ovviamente.

Entrai nella carrozza, giunta sotto casa mia esattamente come l’altro giorno, con lo spirito di un guerriero che si reca alla battaglia, con come destriero i due centauri istupiditi e come arma nient’altro che le parole che intendevo rivolgere al capricorno.
Speravo anche di incontrare Lorssan e Merkhat, ma quando arrivai ebbi una brutta sorpresa, perché ad accogliermi nell’ufficio c’era Kerralsky.
<il signor Lorssan si trova al capezzale del signor Merkhat che sta morendo.> Pronunciò quelle parole con tranquillità, come se stesse parlando del tempo, senza un’ombra di dispiacere. Non potei fare a meno di chiedermi se sarebbe subentrato lui come socio ora.
<come avrete facilmente intuito ciò che voglio mostrarvi si trova nella stanza dell’attivazione. Potete avviarvi là, se ricordate la strada, io devo controllare prima le mie piccole creaturine.>
Mi allontanai senza dire una parola.
Nella sala non c’era nessuno, ma dalle altre sale udivo il consueto, ritmico suono delle macchine, che ebbe su di me un effetto confortante. C’era però un golem decisamente più grande degli altri, alto almeno sei o sette volte me, più snello e con il volto finemente disegnato, addirittura i capelli erano stati scolpiti e negli occhi erano state inserite delle gemme. Il colore del metallo era molto più chiaro, quasi bianco, con degli intarsi dorati.
Mi appoggiai alla balaustra e attesi, tirando fuori l’orologio da taschino a intervalli irregolari, senza nemmeno vedere in realtà l’ora, ma come gesto meccanico.
<chiedo scusa.>
Ero così immerso nei miei pensieri che quando udii quella voce trasalii. Era una voce normale, umana, non quella di un capricorno. Alzai lo sguardo. A parlare era stato un ragazzo giovane, sui vent’anni, con una tuta grigia da operaio vecchia e consunta con sopra un‘imbracatura, i capelli castani legati dietro la schiena, un paio di occhiali protettivi al collo e l’aria gentile. Era il laer di pochi giorni fa.
<vi ho veduto con il signor Kerralsky pochi giorni addietro, così mi sono rivolto a voi. Vi ha per caso detto di attenderlo o posso iniziare il lavoro?>
Lo osservai senza rispondergli per un po’, colpito dal suo modo di parlare così ricercato, decisamente inusuale per uno della sua classe sociale. Ma non per un laer,
Mi dissi. Aveva qualcosa, nel suo viso.. una strana serenità, come di chi va a morire.
<cosa avete fatto alle mani?>Domandai invece, ritraendomi istintivamente.
Portava dei guanti tagliati in punta delle dita, e le dita erano coperte di sangue, in parte fresco e in parte secco. Le unghie erano quasi del tutto distrutte.
<ah, questo. La magia ha un suo prezzo. Questa sarà la mia ultima opera.> Indicò il golem.
Lo sa. Sa che morirà, oggi.
<vado a cercare Kerralsky.> Dissi semplicemente, ammutolito. <iniziate.>
Io mi incamminai per i corridoi di fretta, gettando un ultimo sguardo al laer che scendeva le scale e si recava al lavoro.
Avevo uno strano presentimento, dovuto anche al fatto che quel giorno avrei visto la morte di un uomo. Non stava forse per morire il laer?

Raggiunsi il laboratorio.
<posso entrare?> Nessuna risposta.
La porta era aperta, le luci erano accese e il silenzio era totale. O quasi. Un suono appena percettibile, come quello dei denti di un roditore. E c’era uno strano odore, come di pesce marcio. Guardai alla mia destra, con terrore.
Vuote. Le gabbie erano vuote, le sbarre sciolte da qualcosa simile ad acido! Feci qualche passo indietro terrorizzato. La fonte del suono era vicina, mi sforzai e avanzai. I tavoli era disposti come a croce, uno appena si entrava e gli altri paralleli al lato più lungo della stanza, di pianta rettangolare. Oltrepassai il primo cercando di fare meno rumore possibile. Il suono di quelle bestiole era aumentato, erano vicine, lo sapevo. Mi sporsi oltre uno dei tavoli, sul quale stava una di quegli esseri letteralmente aperto in due con le viscere nere in bella vista per essere estratte ed osservate, e mi ritrassi di colpo. Uscii il più silenziosamente possibile e sbarrai la porta dietro di me. Trassi un profondo respiro. Non era per quell’unica creatura morta, oh no… il solstizio si era vendicato su Kerralsky, quelle creature rese furiose dal sole si erano gettate in massa su di lui e ne stavano divorando il corpo. La parte inferiore del suo corpo era ridotta quasi a una lisca di pesce, un tripudio di carne biancastra e sangue rosso scuro, e i dentini affilati si erano fatti strada attraverso il camice da laboratorio e ne staccavano la carne.
Avrei dovuto gridare, non vi riuscii. Stavo ancora appoggiato alla porta, sconvolto, quando si udì un immenso fragore, come di un’esplosione. Si sentirono vetri infrangersi, macchinari cadere e rompersi, grida disumane di paura e dolore, e io fui gettato a terra contro la parete del corridoio. Fui abbastanza rapido da coprirmi il viso prima che una cascata di vetri si infrangesse su di me. Sentii il vetro tagliente piantarsi nelle gambe e nelle braccia. Ora potrei dire che ero terrorizzato, sarebbe vero, ma sarebbe impreciso. La verità era che un’intuizione sulle cause ce l’avevo, e in quel momento di follia giovanile la curiosità ebbe la meglio sul buon senso e sulla prudenza. Ripercorsi il corridoio deserto, fino alle scale. La situazione lì si fece più difficile, perché l’onda d’urto aveva staccato la ringhiera e molti dei gradini si erano letteralmente sbriciolati. Parti di metallo erano sparse dovunque, incastrate, accartocciate, spaccate. E molte di esse erano bianche.
Poi la vidi, una luce abbagliante, proveniente da dove stava il golem bianco. Era impossibile fissarla, e mi coprii con un braccio.
<È libero..> disse una voce. Mi abbassai, e vidi che per terra, con una gamba tranciata da una delle lastre di metallo e incastrato nella ringhiera, stava un uomo. Mi inginocchiai.
<lasciatemi perdere. Piuttosto, osservatelo. Il sole è venuto a prendersi il suo fedele sacerdote.> Mi indicò la fonte della luce. Avevo creduto si trattasse del laer di poco fa, ma i suoi capelli erano più scuri. Era sicuramente un laer anche lui. Mi voltai verso la luce. Mi lacrimarono gli occhi, era insopportabile, ma cercai di resistere… finché non lo vidi. Era il laer con cui avevo parlato, sospeso in aria, avvolto dalla luminosità calda e benevola che lui stesso generava. Immagino che si accorse della mia presenza, perchè aprì le braccia verso di me. La mia vista iniziò ad abituarsi, e ne distinsi i tratti. I capelli castani erano sciolti e ondeggiavano attorno al suo volto, sul quale era possibile leggere una bellissima espressione di serenità. Il corpo era completamente nudo, ed aveva il colore e la lucentezza dell’oro. Anzi, pareva che delle fiamme lo ricoprissero, fiamme che variavano dall’arancio al giallo, con bordi bianchi. Ogni tanto un piccolo arco infuocato usciva dal suo corpo, veloce e guizzante come un pesce.
Di tutto ciò che avrei voluto udire, non fui in grado di dire una sola parola. Mi bagnai di quella luce dimentico dell’esplosione, della fabbrica… mi pareva di udire voci distanti, ma le ignorai. Lo guardavo negli occhi, divenuti due sfere di rubino splendente. Il suo sorriso era bello, fiero e libero.
Sono libero. Mi hanno costretto a usare i miei poteri per loro, ma ora sono libero. Mi ricongiungerò con le stelle, perché così deve essere. Il sole avrà cura di me.
Le sue labbra non si mossero, ma udii distintamente quelle parole.
<significa che.. sei morto?>
Non ottenni risposta, perché fui violentemente estratto da quel tunnel di luce da delle braccia. Imprecai, vidi le sagome di alcuni Associati. Poi più nulla.

Quando mi risvegliai ero nel mio letto di casa, con Darlhy e gli altri domestici a guardarmi apprensivi.
<cosa è successo?>
<siete stato ferito da un’esplosione in fabbrica, è una fortuna che siete vivo! Sono morte molte persone, anche quel dottore di cui parlavate..Kerralsky, mi pare si chiamasse.>
Non dissi nulla sulla verità, non mi avrebbero creduto. La fabbrica, dopo la morte di Lorssan, finì in rovina a causa delle continue dispute tra gli eredi.
Io invece compii alcune interessanti ricerche negli anni successivi, grazie all’aiuto del curatore del museo cittadino, mio caro amico. Mi mostrò alcune antiche tavolette, vecchie di migliaia di anni. Su una di esse era raffigurata una figura maschile con le braccia aperte che emanava raggi sospesa con altre figure più piccole adoranti. Il sigillo del leviatano in alto a destra ne assicurava le origini laer. L’iscrizione parlava del Sommo Sacerdote Eladda e di come, in veneranda età, dopo aver servito gli dei fino all’ultimo, si era innalzato al sole.
Ora so che il senso di quella tavoletta non era metaforico. “Servire gli dei fino all’ultimo”… aveva utilizzato tutta la sua energia magica fino a morirne, proprio come quel laer. Di cui ora sapevo il nome, Eladda.

 
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